Grave che #FCC abolisca #netneutrality Consentire a operatori di offrire servizio più veloce a chi paga di più, significa privilegiare certi contenuti rispetto ad altri e creare disuguaglianze. #internet è bene comune da preservare,come stabilito da #BillOfRights @Montecitorio
La net neutrality e com’è la situazione in Italia

Il concetto che abbiamo oggi di neutralità della rete applicato a Internet è nato nel primo decennio del XXI secolo. È stato introdotto nel 2002 da Tim Wu, docente di legge presso la Columbia Law School della città di New York, e spiegato l’anno seguente in un rapporto in cui si proponeva l’introduzione di norme e regole che garantissero la libertà online, evitando discriminazioni nella trasmissione di contenuti.
Tutti noi, per collegarci a Internet, abbiamo bisogno di un servizio che ci fornisca l’accesso alla rete, un cosiddetto provider, che collega casa nostra o il nostro ufficio (e qualsiasi altro luogo, pubblico o privato) a un centro dati, che permette così la connessione a qualsiasi sito web nel mondo. La neutralità della rete fa sì che questi provider non facciano favoritismi in quanto a fruizione dei contenuti richiesti.
Senza net neutrality, un provider potrebbe rallentare a piacere la richiesta di connessione a un sito, o bloccarlo del tutto, e far pagare a un produttore che vuole utilizzare la banda Internet per offrire i propri contenuti, che ovviamente poi si rivolgerebbe agli utenti con abbonamenti più o meno cari. È come se su YouTube dovessimo pagare per guardare un video, o acquistare un mensile per utilizzare Facebook o Instagram.
COSA È SUCCESSO NEGLI STATI UNITI
Milioni di americani si sono riversati in strada per protestare contro la decisione della Federal Communications Commission, che, con tre voti a favore e due contrari, ha abolito la neutralità della rete. Molti servizi che sfruttano Internet per il proprio business si sono subito schierati contro la decisione presa, come Netflix, dichiaratasi «delusa», e Twitter, che «continuerà a difendere l’Internet aperto».
L’accesso paritario alla rete ha permesso a colossi come Google e Amazon di creare la propria fortuna partendo da zero, dal garage come amano ricordare nella Silicon Valley. E, negli anni, altre compagnie hanno potuto affermarsi sul mercato, come Facebook.
Ma senza net neutrality tutto questo non sarebbe stato possibile: se vuoi offrire i tuoi servizi via Internet devi pagare, altrimenti non hai banda. Ma se sei una piccola realtà, con disponibilità economica limitata, come puoi rosicchiare spazio ai colossi?
Le speranze si riversano ora in un intervento del Congresso, che possa riportare la situazione nella norma, a un Internet senza discriminazioni, anche con l’appoggio di parlamentari e senatori repubblicani. Proprio dai repubblicani sono arrivati i tre «sì» all’abolizione della net neutrality, mentre i due «no» sono l’espressione delle democratiche Mignon Clyburn e Jessica Rosenworcel.
Il dibattito è nel vivo, con uno scontro ideologico tra i due partiti, e tra due correnti di pensiero all’interno dei repubblicani. La battaglia sarà lunga, ma gli effetti dell’abolizione della neutralità della rete saranno immediati per i cittadini americani.
In Italia, la presidente della Camera Laura Boldrini ha definito l’abolizione della net neutrality negli Stati Uniti come un fatto «grave», ricordando come non sia democratico privilegiare certi contenuti rispetto ad altri, discriminando e aumentando sensibilmente i costi per i consumatori. Nel nostro Paese, inoltre, è in vigore dal 2015 la Dichiarazione dei Diritti di Internet, 14 articoli che disciplinano il rapporto tra cittadini e accesso alla rete. «Internet è un bene comune da preservare», come ricorda su Twitter Laura Boldrini.