IoT: ecco chi guarda le nostre vite.
IoT: Ecco chi guarda le nostre vite. Il garante Antonello Soro: «Dal prossimo maggio le aziende tenute per legge a tutelare la privacy»
I l problema è la pigrizia. La nostra: chi ha la pazienza di leggere le cosiddette privacy policy dei prodotti che ci mettiamo in casa? Non lo facciamo. Ma dovremmo. Ce ne pentiremo in futuro? Forse, probabile. Il risultato è che gli oggetti ci spiano. Ma non come faceva l’occhio del Grande fratello di orwelliana memoria: peggio. Ci mappano l’appartamento mettendo il risultato nel cloud, cioè le nuvole di dati sulla Rete. Ci riconoscono. Ci registrano, ci ascoltano, ci studiano.
Siamo sotto gli occhi (e le orecchie) di tanti Piccoli fratelli a cui diamo le chiavi di casa. Come la famosa bambola Cayla che le autorità tedesche avevano vietato lo scorso anno perché era facilmente hackerabile e poteva essere usata per spiare i nostri figli. Le authority avevano esagerato? Se qualcuno si era posto la domanda ecco la risposta: no. E viene ora dal Garante della Privacy che ha messo sotto esame alcune categorie di prodotti già acquistabili in Italia, dunque in circolazione, che sono da considerarsi potenziali cavalli di Troia con cui i malintenzionati possono facilmente acquisire informazioni vitali sulla nostra quotidianità.
Ma il problema c’è per Soro: «La considerazione di base è che la consapevolezza dei nuovi modi di comunicare è già in ritardo in generale per le comunicazioni tra persone. Ma sugli oggetti che comunicano c’è una discreta anarchia e una inconsapevolezza di utenti e istituzioni. Dobbiamo affrontare seriamente i problemi che sono impliciti nel fatto che gli oggetti comunicano tra loro. Dagli oggetti si può identificare l’utilizzatore. Le istituzioni oggi beneficiano di un nuovo ordinamento europeo che entrerà in vigore il 25 maggio e ci dà la possibilità di pretendere dalle aziende che lavorano nel settore dell’Internet delle cose la cosiddetta privacy by design. Vuol dire che chi produce e gestisce l’oggetto è responsabile di valutare l’impatto-privacy e se non lo fa correttamente è suscettibile di sanzioni dure. Questo non lo sanno le istituzioni né le aziende».
Con la nuova normativa europea sulla Gdpr (Regolamento generale protezione dati) si passerà dalle parole (i dati sono nostri) ai fatti. Dovremo essere avvertiti se le informazioni che ci riguardano sono state rubate (oggi non lo fa nessuno). Ma l’esperienza insegna che far rispettare le leggi su questi servizi in Rete, capillari e virali, non sarà facile. E ci sono ampie falle: le società che offrono comandi vocali fanno sapere che le nostre voci sono conservate nei loro server. Non c’è il diritto a farle cancellare quando revochiamo il consenso o cambiamo prodotto. Un diamante, diceva lo spot, è per sempre. Forse lo sono anche le nostre impronte, i nostri volti e pensieri una volta concessi: persi, per sempre.
Fonte: Massimo Sideri – Corriere Innovazione
Commento di Paola Zambon:
L’Autorità Garante Soro sensibilizza sull’uso “intelligente” dell’Internet delle cose (IoT) ricordando che “sugli oggetti che comunicano c’è una discreta anarchia e una inconsapevolezza di utenti e istituzioni. Dobbiamo affrontare seriamente i problemi che sono impliciti nel fatto che gli oggetti comunicano tra loro. Dagli oggetti si può identificare l’utilizzatore.
Le istituzioni oggi beneficiano di un nuovo ordinamento europeo che entrerà in vigore il 25 maggio e ci dà la possibilità di pretendere dalle aziende che lavorano nel settore dell’Internet delle cose la cosiddetta privacy by design. Vuol dire che chi produce e gestisce l’oggetto è responsabile di valutare l’impatto-privacy e se non lo fa correttamente è suscettibile di sanzioni dure. Questo non lo sanno le istituzioni né le aziende”