Nel 2019 i target principali sono stati banche e servizi finanziari. Ma di fronte all’obbiettivo della ripartenza dell’economia in recessione a causa del Coronavirus ci si aspetta che saranno moltiplicati gli attacchi alla filiera industriale e commerciale: dai mobili all’agroalimentare passando per i negozi online.
Il crime as a service, l’industria del crimine su richiesta, offre di tutto, dagli attacchi distribuiti (DDoS) per bloccare siti e servizi, ai malware e alle campagne di phishing, Trojan e sequestro di database, tutte opzioni nel portafoglio di organizzazioni criminali che agiscono come il board di imprese legittime: tengono riunioni, fanno scouting di talenti, li impiegano per i loro scopi. Quando un «kit di attacco» funziona bene si occupano di sviluppo del prodotto, supporto tecnico, distribuzione, e ne certificano la qualità. Raramente competono fra concorrenti, piuttosto si scambiamo metodi e tecniche di cui rivendicano l’ideazione nel codice, con commenti in lingua e con riferimenti criptici agli informatici che li hanno messi a punto.
Alcuni gruppi hanno persino personaggi pubblici che ne curano la reputazione nel Dark Web. I loro «team leader» guidano i «minatori di dati», i coder che scrivono codice dannoso, e gli «specialisti delle intrusioni», che si infiltrano nelle aziende target.
Le loro incursioni possono durare giorni e costare da $10 per un piccolo attacco a migliaia di dollari per quelli più complessi. Possono essere parte di un piano di riscatto – l’Italia è tra i paesi europei più colpiti dai ransomware -, atti di vandalismo e sabotaggio, o semplicemente un modo per mascherare un altro attacco, come forse è successo con l’Inps.
L’Università di Cambridge ha scoperto che tali assalti sono diventati così comuni che i loro acquirenti includono persino adolescenti che attaccano i registri scolastici online.
Secondo il Wef però la spesa per la sicurezza informatica è sottodimensionata vista l’entità della minaccia, e considerato che negli Usa la probabilità di portare in tribunale i cybercriminali è stimata intorno allo 0,05% dei casi.
Fonte: Federprivacy – Arturo Di Corinto (Il Manifesto)